Articoli e Interviste

Rodo Santoro:
fantasia e ingegno
L’ingresso nell’atelier palermitano dell’ architetto Rodo Santoro è paragonabile all’entrata di un bimbo in un bellissimo negozio di giocattoli. Lo sguardo si affanna nell’arduo tentativo di registrare quanti più particolari possibile con lo stupore di un fanciullo che non ha ancora lo sguardo disincantato dell’adulto abituato a razionalizzare tutto e a non stupirsi più di nulla. Colori, odori, luci ed atmosfere rapiscono l’ospite che vi si addentra, circondato da tele e chine di ogni dimensione – con soggetti, colori e sfumature le più disparate – libri, riviste, stampe di ogni sorta. Ogni angolo di quegli spazi testimonia una incessante ed operosa attività di studio e creatività volta ad esplorare molti ambiti del sapere e ad enuclearne ampie gamme di soggetti artistici. In questa vera e propria fucina di cultura la voce narrante di questo grande artista sembra voler affondare il colpo di grazia all’incauto fruitore, già stordito dalla irreale dimensione in cui si trova immerso.
Architetto Santoro, la sua incessante operatività spazia dall’attività architettonica a quella saggistica, è un pittore di riconosciuta autorevolezza. Tra tutte queste attività, qual’è per lei quella preminente? Facendo un discorso di ordine storico la prima attività nella quale mi sono cimentato è la pittura. Perché da prima ancora di andare alle scuole elementari, avevo imparato a trattare gli inchiostri di china. Non so per quale ragione io adoperai da subito gli inchiostri di china. Certamente, trovai che li usavo con una certa facilità. La china rimase per me, la tecnica espressiva più naturale, che ho portato poi avanti nei decenni. Alla china aggiunsi anche l’acquerello, perché mio padre - dal quale ritengo di aver ereditato sia le mie capacità pittoriche sia quelle giornalistiche - dipingeva molto ad acquerello ma anche ad olio. Tuttavia, trovavo l’olio un pò duro come tecnica per cui - parallelamente all’uso della china - facevo molte opere ad acquerello, paesaggi soprattutto, in quanto l’acquerello si presta maggiormente per i paesaggi.
Questo suo naturale talento per la pittura, associata agli studi affrontati dal liceo in poi, l’ha poi portata a sviluppi professionali in questo settore? Si, perché mentre ancora frequentavo il Liceo Artistico a Roma, ho cominciato a lavorare presso uno studio di un vecchio amico di mio padre. Lo studio Favalli negli anni ’50 era uno dei migliori studi essenzialmente di cartellonistica cinematografica – considerato che lavorava per la Lux Film - e di manifesti pubblicitari. Appresi così ad usare le tempere e ad esercitarmi sui volti degli attori più in voga tratti dalle belle foto di scena in bianco e nero. Intanto da li a poco – nel 1958 – avevo iniziato a frequentare il mondo del cinema, a Cinecittà. È di quel periodo l’inizio della collaborazione con lo studio di Scenografia cinematografica dell’architetto Lolli - scenografo della Lux Film – presso il quale partecipai alla realizzazione di bozzetti che in massima parte riguardavano ambienti antichi – cioè o dell’antica Grecia o dell’antica Roma, o sulla Persia o su Cartagine. Questo è stato un periodo particolare perché per Roma e per l’industria cinematografica si sono raggiunti grandi risultati dal punto di vista scenografico, con la conseguenza di attirare le produzioni internazionali a venire a realizzare da noi, a Cinecittà, grandi film di ricostruzione storica che sono diventati famosi. La scenografia cinematografica sembrava ormai la mia strada, ma dovetti partire per la Scuola Allievi Ufficiali dell’Aeronautica di Firenze. Venni poi destinato all’aeroporto di Fontanarossa - a Catania – e feci così la mia prima conoscenza con la Sicilia; soprattutto con quella orientale che mi affascinò per le sue architetture tardobarocche e rococò.
Come mai vivendo ed iniziando a lavorare a Roma, dopo il servizio militare non decise di rientravi, ma piuttosto scelse di rimanere in Sicilia? Negli anni ’60 ripresi a frequentare la Facoltà di Architettura e, nel contempo, girai tutta la regione con grande entusiasmo per i suoi paesaggi e le sue architetture. In questo periodo feci alcune personali di pittura a Palermo e a Roma. Intanto mi interessava sempre più il Medio Evo siciliano, anche per i miei studi sull’architettura di quel periodo. Produssi una serie di tempere e chine ispirate a personaggi ed eventi di quel periodo e ne feci un’esposizione prima a Palermo nel Maggio 1973 (Galleria Il Paladino) e successivamente, nell’Aprile-Maggio 1974, un’altra presso la Staff House dell’Università di Birmingham in Inghilterra. All’incirca dalla metà degli anni ’60 sino alla metà degli anni ’70 produssi un gran numero di opere - sia ad olio che a china – i cui soggetti andavano dai paesaggi fantastici ispirati ai paesi dell’interno dell’Isola alle donne opulente, languidamente distese davanti a paesi barocchi e vulcani in eruzione. Anche l’antico mondo pastorale dell’interno della Sicilia mi affascinava e poi la gioiosa rappresentazione dei cibi e dei piatti della cucina e dell’arte dolciaria siciliana. Intanto giungevano i primi incarichi professionali nel campo dell’architettura; tre chiese parrocchiali delle quali poi se ne realizzò, parzialmente, soltanto una: S. Caterina da Siena in Borgo Ulivia alla periferia di Palermo. Il restauro del Castello feudale di Caccamo e i restauri delle chiese di S. Benedetto alla Badia e di S. Francesco, sempre a Caccamo. Naturalmente questi incarichi mi portarono ad impegnare sempre più tempo nell’attività architettonica. Oltre a ciò, a metà degli anni ’70, vinsi un concorso a cattedra per l’insegnamento del disegno geometrico, della prospettiva e architettura per i Licei Artistici di Stato. Ma l’evento che mi riportò in pieno all’attività scenografica fu la rinascita delle Feste in onore di Santa Rosalia nel 1973-74. Il desiderio dell’Amministrazione comunale dell’epoca di riesumarle coincise con il mio entusiasmo. Scelsi di rifarmi all’epoca fra il Sei e il Settecento in quanto quella di maggior gloria politica ed artistica della città. Il mio modello fu la il Carro trionfale disegnato nel 1701 dall’architetto senatorio Paolo Amato. Questo progetto mi impegnò molto e mi diede una grande soddisfazione perché quando nell’anno successivo – cioè nel 1974 – producemmo il grande spettacolo del corteo trionfale con il carro, ci fu un entusiasmo popolare grandioso che restituì finalmente le Feste in onore di Santa Rosalia alla loro dignità storica ed il popolo di Palermo le volle ogni anno. Continuai negli anni ’80 con la realizzazione della Porta cosiddetta “effimera” di Santa Rosalia a piazza XIII Vittime, che si montava e smontava in occasione della festa ed era la riproduzione della porta urbana di Palermo del 1724 demolita nell’800. Ancora negli anni ’80 proseguii nel tentativo di completare Il Corteo Trionfale secondo il progetto del 1973-74, disegnando e costruendo due dei carri minori che erano previsti originariamente, nuovi costumi, etc. Ho recuperato nuovamente questo argomento - molto più tardi - nel 2002.
Dunque, nonostante fosse sommerso da incarichi di restauro e progettazione architettonica, dal complesso incarico per la rinascita del Festino di Santa Rosalia con i suoi formidabili apparati scenografici, è riuscito a portare avanti la sua attività pittorica? Intanto, dopo il successo del Festino di Palermo fui chiamato dall’Amministrazione comunale di Messina che voleva restaurare le sue machine trionfali, risalenti al Cinquecento. Si trattava dei due Giganti a cavallo e della Vara dell’Assunta. Questo lavoro mi impegnò molto perché mi dovetti trasferire a Messina e seguire questi interventi perché queste machine storiche erano molto mal ridotte e il mio intento fu quello di riportarle alla dignità originaria che avevano anticamente. Nel corso degli anni ’80-’90 l’impegno per la progettazione e direzione dei lavori di opere pubbliche come i restauri dei Castelli feudali di Caccamo, Castelbuono ed Acate nonché della fortezza del Castellamare in Palermo, gli studi storicoarchitettonici sul Castello di Rodi (Grecia) e su quello di Tripoli di Libia non mi impedirono di portare avanti la mia attività pittorica, organizzando alcune mostre con notevoli difficoltà di vario tipo. La prima nacque da una proposta della Municipalità di Rodi (Grecia) e di alcuni amici locali. Alla luce di quello che mi ha detto, quali potrebbero essere gli sbocchi legati all’attività di pittore-scenografo? Intanto devo dire che mi sarebbe piaciuto molto fare lo scenografo teatrale, sia nella lirica che nella prosa. Comunque, l’organizzazione di spettacoli a cielo aperto tipo il Festino – ovvero la riproduzione di queste grandi manifestazioni che hanno una loro profondità storica – mi ha appassionato sempre e mi piacerebbe continuare a farle. Inoltre, rimanendo nel campo pittorico vero e proprio, ho avuto molte soddisfazioni da un certo filone estetico che ho intrapreso su commissione, che è quello della illustrazione della cucina – cioè di vari piatti, pietanze, lavorazioni culinarie della cucina italiana e specificamente di quella siciliana, ma anche dell’Italia meridionale – che è un settore nel quale trovo di potere liberare una notevole quantità di fantasia.
Qual' è il filone estetico che le è più congeniale? Nella mia formazione giovanile ho sentito molto vicina alla mia sensibilità la pittura della cosiddetta “scuola romana” che è stato un filone estetico creato da un gruppo molto ristretto di pittori che operavano a Roma fra gli anni ’30 e ’40. Si caratterizzava nel recuperare dalla grande pittura barocca ciò che era la parte più espressiva, sia nel segno sia nel colore, ma senza arzigogoli o imitazioni pedisseque di certi partiti estetici dell’arte sei-settecentesca. A questa ispirazione di fondo, aggiunsi anche un certo interesse per la corrente dell’espressionismo tedesco. Quindi ho combinato fra loro queste due espressioni estetiche per dare luogo ad una narrazione fantastica. Ecco che alla fine sono arrivato a determinare una pittura che posso definire realismofantastico, cioè un linguaggio figurativo che riproduce gli oggetti, le persone e la realtà così com’è, ma creando delle scene nelle quali ci sia un elemento fantastico che congiunge tutti questi elementi e che non somiglia alla realtà, perché non è nella realtà delle cose. Soddisfacendo così una certa tendenza a narrare attraverso il quadro.

Rosario Ribbene  da "Sicilia Tempo" n. 469, pagg. 42-43